mercoledì 25 gennaio 2017

Cibi smart, l’elisir di lunga vita

E’ già cominciato il tempo della dieta. Parola che sembra  evocare  un  mostro divoratore, un orco assassino La mia amica Eliana Liotta nel suo “La dieta smart food”, afferma che la dieta è un inno alla libertà! Attraverso questa, infatti, sembra che si possa addirittura cambiare il destino scritto nel nostro genoma, nel patrimonio ereditario. Come non siano consigliate “le bevute e i continui bagordi interrotti che possono dar luogo a una vita piacevole” lo aveva addirittura affermato Epicuro, che, nella sua “Lettera sulla felicità” afferma infine che “il Saggio sceglie il cibo migliore e non la quantità”. Chissà se il filosofo di Samo avesse anche immaginato che un giorno i nutrizionisti avrebbero classificato i cibi migliori ?I cibi smart !
Oggi vi voglio parlare dell’importanza delle “smart molecules”, ovvero di quelle molecole di origine vegetale che ci allungano la vita e inibiscono il nostro invecchiamento. Comincerò con la quercetina e le antocianine. Entrambe queste molecole sono molecole di lunga vita, la prima la troviamo nelle cipolle, nel cioccolato, nei capperi, negli asparagi. Le seconde, invece le troviamo in tutti i frutti rossi, nei peperoni, nelle arance, nel cavolo cappuccio, nelle ciliegie, nelle patate viola.
La ricetta di oggi sarà a base di patate viola, l’ho chiamata “Violette col croc”. Ho conosciuto le patate viola per caso, grazie ad un’amica peruviana che me le cucinò a Parigi. Allora, più di vent’anni fa, queste patate erano pressocchè sconosciute in Europa. Ricordo che mi colpì il viola della buccia e quello della polpa. Il gusto inconfondibile, la loro eleganza, o forse il fascino della mia amica mi convinsero che doveva trattarsi di cibo degli dei.  Tornato in Italia non le trovai nei mercati e così me ne dimenticai. La settimana scorsa ho scoperto che adesso vengono coltivate anche in Sicilia e allora andiamo con la ricetta.
Le Violette col croc. Per la sfoglia ingr. : farina di grano tenero 400 gr, farina di grano khorasan 100 gr, 6 uova medie e sale qb.  Per il ripieno ingr. : patate viola Vitellotte, stracchino di capra, guanciale di Suino Nero, Pecorino Romano dop, erba cipollina, sale e pepe qb.  Per la fonduta : burro, farina 0, latte, fontal, fontina, emmental e asiago pressato, alloro,  porro e noce moscata.  Per il croc : pancetta di suino nero.
Preparate un purè con le patate (badate di utilizzare anche la buccia), aggiungiamo latte, lo stracchino di capra del mio amico Francesco Giunta, il pecorino grattugiato, a parte facciamo sciogliere il guanciale con l’erba cipollina, quando sarà ben sciolto aggiungiamo all’impasto delle patate, frulliamo e facciamo una palla, pronto il ripieno. Per la fonduta : poniamo il burro tagliato a fettine in una casseruola a fuoco dolcissimo, con la frusta incorporiamo la farina al burro, aggiungiamo il latte freddo, continuate a mescolare con la frusta, a fuoco dolce aggiungiamo il porro finemente tritato e spolveriamo con noce moscata e lasciate sobbollire per almeno dieci minuti sempre mescolando con la frusta, quando avrete ottenuto una salsa ben densa, fluida e senza grumi incorporate i formaggi che avrete grattugiato precedentemente e lasciateli fondere insieme aggiungete una foglia di alloro.
Per il Croc : in padella tostate della pancetta tesa di Suino Nero. Lessate i ravioli per 3/4 minuti, scolateli e poneteli sul piatto ricopriteli con la fonduta e guarnite con la pancetta croccante. Buon Appetito. 


Il Vostro #cuocoperamico

lunedì 16 gennaio 2017

Quando la terra tremò e il Belice venne distrutto

Quarantanove anni fa alle tre di notte venivo sbalzato dal letto e in men che non si dica mi trovavo per le scale con mamma, papà e sorellina. Il cappotto sul pigiama e giù per le scale. Ancora intontito, sentivo il vociare dei condomini: Terremoto, terremoto
Avevo solo dodici anni. I giorni che seguirono li ricordo come un film, dormire dentro un furgone per notti che dopo le prime due straordinariamente calde divennero lunghe e fredde La rivoluzione fu rappresentata dal fatto che ci si ritrovava amici e si condivideva quello che si aveva. Davvero sconvolgente quello che accadde in Belice !Passarono tanti anni, e tanti altri terremoti e conobbi un uomo vecchio, magro, con un volto segnato da rughe profonde e straordinariamente luminose. Quell’uomo che parlava quasi sottovoce, vestiva di chiaro e portava un cappello a larghe falde. Erano passati tanti anni e con mia mamma e mia sorella stavamo soffrendo un gran freddo al Cretto di Burri nonostante fosse agosto, quell’uomo sorridendo ci porse dei plaid, così potemmo continuare a gustarci uno straordinario “Agamennone” con una trascinante Rosa Balistreri.
Alla fine dello spettacolo, lo cercai per restituire le coperte e seppi che era Ludovico Corrao, il “Grande Sindaco”, l’inventore di Gibellina Nuova e delle Orestiadi, l’uomo che aveva sovvertito la distruzione del terremoto con la costruzione di nuove coscienze, in nuovi luoghi.Ecco il Terremoto  porta distruzione, sconvolge la terra e abbatte le case, le chiese, cerca di spazzare la MEMORIA, sconvolge l’anima, la mente, ma si può vincere. Da quella distruzione, dai lamenti di quelle donne nere Corrao trasse una Forza potente per Costruire. Dal brutto fece rinascere il bello.
Chiamò a raccolta ARTISTI, SCIENZIATI, POLITICI, DONNE E UOMINI per ricostruire le anime prima che le case, sul luogo della Morte, dell’Oblio sorse il Cretto un monumento alla Memoria, per tutto il Belìce artisti come Giò Pomodoro, Pietro Consagra, Ludovico Quaroni, Vittorio Gregotti, Giuseppe Samonà, Carla Accardi, Mimmo Rotella con le loro esperienze contagiarono di vita i superstiti e si ripartì.Oggi, altre lande soffrono a causa dell’orrendo MOSTRO che sconquassa e le nostre anime devono opporsi, occorre ricreare una rete del BELLO, del GIUSTO, del CORRETTO, che sconfigga il BRUTTO, l’INIQUO e il CORROTTO.
Comunque la ricetta è sempre d’obbligo e oggi vi racconto come preparare la Gricia, che io preparo con gli spaghetti di grano Senatore Cappelli del mio amico Ettore Pottino. La Gricia è l’antesignana dell’Amatriciana, sembra che siano stati i pastori di Amatrice a inventarla.
Ingredienti: Spaghetti, guanciale, io uso quello di Suino Nero, Olio di frantoio, pepe nero e Pecorino Romano. Tagliate il guanciale a striscioline omogenee e scaldatele a fuoco vivo in una padella dove avrete versato l’olio di frantoio, aggiungete il pepe e fate rosolare, adesso, a fuoco dolceAppena il guanciale si sarà dorato buttate gli spaghetti che avrete lessato e il pecorino grattugiato spadellate e servite!
Buon Appetito dal Vostro #cuocoperamico

sabato 7 gennaio 2017

Tre settimane per ritrovare la forma perduta con tisane e minestroni

La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte, vien vestita da Befana, Viva, Viva la Befana.…e alla fine tutte le feste si porta via…
Sicuramente si porta via le vacanze e i cenoni, le giocate, le grandi bevute e le grandi mangiate e allora TUTTI impegnati a recuperare, vorremmo dimagrire in giornata, ma il freddo che incalza, ci spinge a mangiare ed a bere qualche bicchiere ancora, allora che fare ?
Ripartiamo dalle verdure, dai legumi, dalle zuppe, dalle minestrePotremo usare le spezie, il peperoncino,  la curcuma, lo zenzero, ma niente grassi animali, poco olio e niente fritture, ma soprattutto vediamo di consumare almeno cinque pasti al giorno per mantenere sempre attivo il nostro metabolismo. Consumiamo un paio di tisane al giorno,  una depurativa e l’altra drenante e non eccediamo col caffè.
Importantissimo : almeno venti minuti al giorno dedicati alla ginnastica o a passeggiate  a buon ritmo. Seguendo questi consigli in poco più di tre settimane recupererete la Vostra forma fisica e acquisterete serenità e sicurezza in voi stessi.
Adesso una  ricetta per un menù salutista.
Ingredienti: 2 carote / 1 gambo di sedano / 4 zucchine /1 porro / 1 cipolla bianca / 1 manciata di fagiolini (se non sono italiani non li metto) / 1 mazzo di bietole / 1 manciata di spinaci / 1 mazzo di boragini (le foglie esterne di una lattuga) / 1/4 di cavolo / 1 fetta di zucca / 1 manciata di piselli freschi / 5-6 cucchiai di lenticchie / 80 g di secchi / 2 mazzi di basilico / pinoli / olio /  maltagliati, ditali o spaghetti spezzati
Mettete a bagno fagioli e lenticchie per una notte. Il giorno dopo pulite le verdure, e tagliatele a pezzi. Mettete sul fuoco un grosso pentolone d’acqua (circa 7-8 l) e quando bolle buttate le verdure e le lenticchie. Coprite per riportare al bollore, dopo di che, togliete il coperchio e fate cuocere a fiamma bassissima per un paio d’ore. Fate intiepidire e passate le verdure, potete anche frullarle ma io le preferisco al passaverdure. Sciacquate i fagioli, aggiungeteli alle verdure e riprendete la cottura sempre a fuoco bassissimo, col coperchio a metà, per almeno altre 2 ore e mezza; ricordate sempre che i fagioli hanno bisogno di una lunghissima e dolcissima cottura affinchè vengano eliminate le lectine, gli inibitori dell’ alfa-amilasi e le saponine. A questo punto il minestrone è pronto, aggiungete  sale e olio di frantoio e potreste anche servire così. Se però fate come me vi assicuro che non potrete più tornare indietro!!!! Pulite il basilico e frullatelo con i pinoli e l’olio  di frantoio, fate il pesto in poche parole. In un pentolino mettete il minestrone calcolando più o meno 2-3 mestoli a persona. Quando bolle aggiungete la pasta (50 g a persona) tipo ditali o spaghetti spezzati o se vi piace del riso, mescolando accuratamente. Quando la pasta è quasi cotta mettete il pesto,1 bel cucchiaio colmo a persona, mescolate, spegnete il fuoco e lasciate riposare qualche minuto,  sentirete che profumo e  buon appetito !

venerdì 30 dicembre 2016

Il cenone di fine anno? Il rito propiziatorio per il 2017 che arriva

Ci siamo! Stiamo per salutare questo 2016 bisesto, e corriamo incontro a un nuovo anno che speriamo migliore. 
Non è compito mio angustiarvi con analisi e previsioni socio-economiche o con l’acqua a giorni alterni per Palermo. Non voglio raccontare della pericolosità di quest’anno che viene,  che paragonerei a quel periodo 79/80 quando l’allora URSS invase l’Afghanistan, a Teheran cadeva lo Shah e Khomeini sequestrava i diplomatici USA, quando Jimmy Carter fallì il raid per liberarli e Reagan arrivò alla Casa Bianca. Voglio salutare, invece un anno che comincia nel giorno dedicato al Sole, comincia di domenica il giorno che il Signore dedicò al riposo, e allora FORZA, DIVERTIAMOCI la sera di fine anno con il CENONE. Questo rito dà inizio alla festa più superstiziosa che esiste .
Ci lasciamo alle spalle  l’anno vecchio e guardiamo al futuro con positività, sperando il meglio, compiendo vari gesti propiziatori. Ma quali sono i cibi portafortuna che non devono mancare nel Cenone di Fine Anno?
Cominciamo con le lenticchie, noi qui in Sicilia ne abbiamo di eccellenti, per chi preferisce le tonde, piatte e grosse ci sono le deliziose di Villalba, per chi ama di più quelle piccole, vulcaniche le prelibate di Ustica.
Adesso dalle Americhe arriva una nuova tradizione, quella dell’Hoppin’ Johnun riso cucinato con cipolle e fagioli neri. Continuiamo con il riso, è d’obbligo il risotto oppure l’arancina, se proprio non lo prevedete nel Vostro menù spargete chicchi di riso sulla tovaglia, dove il rosso deve campeggiare. Sulla tavola di fine d’anno non possono mancare uva e melograno. In Spagna è tradizione beneaugurante mangiare dodici chicchi d’uva, tanti quanti i rintocchi della mezzanotte, sembra che procuri prosperità. Il melograno, frutto fatto da chicchi, sacro a Venere e a Giunone, porterebbe ricchezza e fertilità. Chicchi dappertutto, il significato è presto spiegato, somigliano a monetine e quindi…piccioli! Ormai, è consuetudine anche da noi al Sud il consumo di cotechino e zampone, ma il re di tutti i menù è il maiale, perché rappresenta il progresso, infatti questo animale non sa camminare all’indietro.
Questi sono i cibi portafortuna sulle  nostre tavole. In Estremo Oriente oltre al peperoncino e alle verdure verdi (dal verde dei dollari americani che porterebbe tanti soldi), noodles che garantiscono longevità e tutta la frutta tonda che garantisce armonia.
Per voi, la mia ricetta di fine anno:
Timbaletto di riso Carnaroli al melograno con tartare di mazzancolle marinate e caviale di salmone:
  • cucinate il riso su un soffritto di porri irrorando con succo di melograno e un filo d’olio di frantoio;
  • nel frattempo preparate una tartare con le code delle mazzancolle aromatizzandole con fior di sale e limone grattugiato, succo di lime e pepe macinato fresco;
  • quando il risotto è pronto ponetelo all’interno di un coppapasta,  adagiatevi sopra la tartare e ancora più su il caviale di salmone e guarnite con chicchi di melograno.
Buon appetito e buon anno,
il vostro #cuocoperamico!

venerdì 23 dicembre 2016

A tavola per la pace, questa la mia ricetta di Natale

Cosa può scrivere d’interessante un cuoco? RICETTE! Esistono ricette stagionali, per le feste, ricette il cui tema può essere religioso, etnico oppure rappresentare uno stile di vita, queste diversità esaltano o demonizzano alcuni ingredienti. Il CECE sopravvive a tutte queste e trova spazio in ogni tipo di menù.
Il cece è il più umile, il più rustico dei legumi, coltivato dal Libano alle Americhe, ha sfamato e deliziato miliardi di donne e uomini per millenni e millenni sotto ogni latitudine. Il cece è un figlio della Terra senza grandi pretese, non è abituato a grandi palcoscenici naturali, sta nelle periferie dei terreni poveri, è generoso, regala azoto ai terreni e li arricchisce, resiste alla siccità e non ha grandi esigenze per vivere e crescere.
Nel bacino del Mediterraneo ogni popolo lo consuma da sempre: panelle, farinate, falafel, minestre, zuppe, ma la regina di tutte le ricette a base di ceci resta l’HUMMUS, Salsa deliziosa che unisce nel consenso, musulmani, ebrei e cristiani. Vedendo Aleppo, che ho conosciuto bella, seducente e ricca di misteri con la sua Cittadella dei Cavalieri, devastata, vilipesa con quei bambini con gli occhioni persi nel vuoto ho pensato che non possiamo restare indignati da divano, qualcosa dobbiamo fare!
E che posso fare io cuoco di periferia, senza stelle né alamari, che cucino calamari? Ecco! Mi sono ricordato del mio primo incontro con Renzo Piano in un’aula  universitaria: lui, l’Archistar teneva una conferenza. Non parlava di urbanistica, ma di PACE.
“La PACE non esiste in natura. Va costruita lentamente come una città, e la periferia è il suo cuore. La PACE è un’invenzione d’AMORE e di CONDIVISIONE del COMUNE BENE”. Queste parole e quelle immagini  di una Siria devastata insieme mi spingono dal mio piccolissimo e periferico a costruire. Come posso farlo? Con i miei strumenti, padelle, pentole, piatti! Viviamo in un mondo dove due mostri ODIO e PAURA lottano contro AMORE e CONOSCENZA, ODIO e PAURA generano GUERRAAMORE e CONOSCENZA generano PACE. Ho scelto di stare con questi ultimi e per questo con Voi vorrei promuovere una  TAVOLA PER LA PACE.
Attorno a questo tavolo Tutti, senza distinzione di credo, di razza, di età, di genere; dietro, a cucinare, chi mi vorrà affiancare declinando il CECE simbolo di questa PACE CONDIVISASarei felice se a questa TAVOLA di GALILEA, di PERIFERIA volessero sedere anche coloro che dal CENTRO possono e devono fare molto per #COSTRUIREPACE.
Intanto vi passo la ricetta dell’HUMMUS A MODO MIO. Ingredienti: 250 gr di ceci lessati, due cucchiai di Tahin, il succo di mezzo limone, un cucchiaio di sesamo, prezzemolo abbondante finemente tritato e due foglioline di menta, olio di frantoio e sale q.b. Ponete in un recipiente i ceci lessati, la tahin, il sesamo,il prezzemolo tritato e la menta e bagnateli col succo di limone e l’olio frullate tutto e…PRONTO, ci vuole poco…
Buon appetito dal Vostro #CUOCOPERAMICO

lunedì 19 dicembre 2016

Il “buon ricordo” di Pino Stancampiano

Questa sera in Paradiso si apre un nuovo Grand Restaurant. A dirigerlo il Signore ha chiamato un uomo che ha fatto la storia di questa nostra bellissima Palermo. 
Pino Stancampiano non è più qui. Lo ha chiamato il Signore, per fargli dirigere il banchetto di compleanno del Suo Figlio Divino, Gesù’ che tra sette giorni compirà 2016 anni. Ci mancherai Pino. Ci mancherà il tuo sorriso ironico e beffardo, il tuo sigaro, la tua eleganza, l’armonia dei tuoi piatti, la tua voce calda e un po’ impastata che ben si addiceva alla misurata lentezza dei tuoi gesti. Sei andato via in una giornata di sole, perché questa è un’altra delle doti che porterai lassù. 
Il Sole, il Calore, i Colori di questa nostra Sicilia ti piacevano tanto e li declamasti anche all’Assemblea delle Nazioni Unite, quando fosti invitato per i mille anni della Cassata. 
Non potrò dimenticare i tuoi duetti con mio papà, quando commentavi la straordinaria qualità di un prosciutto di 38 mesi o del suo Parmigiano Maggengo di 4 anni e della selezione di formaggi francesi che valse a Rino Mangia la medaglia d’oro al Salon de l’Agriculture di Parigi del 1972. 
Non potrò dimenticare quelle cene d’estate a La Scuderia con Ignazio Miceli, grandissimo Maestro del Vino, al quale tu rimproveravi l’eccessiva sapidità del Regaleali Bianco e con Vittorio Todaro col quale si discettava su quale fosse il miglior taglio di carne per preparare questo o quel piatto, ed io silenzioso che imparavo… 
Credo che la Tua lezione sia stata fondamentale per tanti ristoratori. Su tutti, però non dimenticherò mai le tue jam session del gusto con un altro Grande: il Tuo ”fratello” d’oltre Oceano Tony May. Non dimenticherò quando mi chiamasti per rimproverarmi: avevo osato aprire un ristorante, non sapevo nulla di ristorazione, sapevo tantissimo di alimenti, ma il ristorante è un’altra cosa mi dicesti e per questo avevi deciso di fondare l’Ordine dei Ristoratori Professionisti a tutela dei Ristoratori veri. E come fui pieno di orgoglio quando mi telefonasti per congratularti con me per come avevo ospitato il Principe Alberto di Monaco e quando venisti in via Principe di Belmonte e dopo una cena durante la quale avevo cucinato col brivido mi salutasti con un abbraccio sussurrando Bravo. 
Ci mancherai Pino, ma il Tuo Buon Ricordo ci sarà di conforto e di sprone, in un tempo dove il Grigio si è impadronito del quotidiano, dove  il Freddo regola i rapporti tra gli umani e la speranza è sempre più nascosta da una Nebbia odiosa.
Adesso che sei volato via, anche lassù sapranno che a Palermo tu portasti uno scampolo di Paradiso per tutti coloro che si accomodarono nelle poltrone dei Tuoi ristoranti, il “Pantagruel”, mitico, il “Metropole”, e, poi,  magica  “La Scuderia” e per ultimo La Capannina a Valdesi ultima scommessa. Già mi vedo gli Apostoli che si lisciano le barbe dopo aver assaggiato i tuoi “Involtini di pescespada” e tu che gli proponi un Bas Armagnac o un Calvados XO o un Agricòle per concludere la cena. 
Ciao Pino BUONA LUCE.

martedì 13 dicembre 2016

Gigi Mangia e l’arancina. È lei lo Stupor Mundi

Aspettando di debuttare con il suo blog su IlSicilia.it, Gigi Mangia racconta l’arancina secondo Gigi Mangia.
E’ arrivata Santa Lucia, la Santa della Luce, la Vergine Martire Siracusana che ha sedotto e affascinato finanche i glaciali Svedesi e con Lei riprende forza l’annosa diatriba tra ARANCINA e ARANCINO.
     
       Arancina Damare secondo Gigi Mangia
Non me ne vogliate : non ne posso
più!
L’ARANCINO nacque il 13/12/1647 : era riso cotto,  amalgamato con miele e aveva un ripieno di cioccolato, la sua forma era simile a quella dell’ARANCINO catanese odierno, era uno dei tanti dolci votivi dedicati alla Santa dai Siciliani riconoscenti per lo scampato pericolo della carestia che proprio un anno prima in quello stesso giorno era stato scongiurato dall’attracco di un bastimento carico di grano nel porto di Siracusa.

L’ARANCINA nacque tanti secoli prima la sua invenzione la dobbiamo al ROSTICCIERE dello Stupor Mundi,  all’Imperatore Federico, si sa, piaceva cimentarsi nella caccia, di ogni genere, e per queste battute era necessario rifocillarsi con poco, ma spesso e quelle palle di riso dorato e profumato dallo zafferano,  ripiene di erbe amare e carne di agnello o di cacciagione erano perfette.
Purtroppo, non duravano, inacidivano presto e comunque fredde a Federico non piacevano,  ecco allora la panatura e la frittura e così nasceva l’ARANCINA. Il nome del dolce votivo si diffuse in tutta l’Isola.
Io, le mie realizzazioni a base di riso le ho chiamate “RISOTTIDAPASSEGGIO”, per dirla in vernacolo "unni pozzu cchiù di stritfud e compari" il cibo, per me, è cosa seria, d’altra parte non potrebbe essere diversamente per uno che porta il mio cognome.
I miei RISOTTIDAPASSEGGIO li ho titolati al femminile in quanto “realizzazioni a base di riso”, ma anche perché LEI sempre FEMMINA resta.
La DAMARE, una storia d’amore tra il GAMBERONE GEDEONE, e la COZZA capRICCIosa, la PORCIOTTA, dove i chicchi del riso danzano  con  i porcini del bosco, la NERA nella quale il riso si lascia sedurre dall’inchiostro del calamaro, e questo si perde dentro al riso nero, la BIANCA che è una fonduta di formaggi al riso l’OTTAVA dove il riso si lascia trasportare dal Raù del quale Eduardo immortalò la ricetta  che è l’omaggio alle mie ascendenze partenopee, la PESTATA, un inno alla Sicilia, riso, pesto verde di agrumi. pomodori secchi, melanzane e caciocavallo e una piccola acciuga cantano le bontà della nostra terra.
Oggi, è anche il giorno della Cuccìa dal greco TA KO(U) KKIA, i grani. Nell’Antica Grecia era uso  per commemorare i defunti mangiare sulle tombe grano bollito con miele e bere vino forte e dolce. Questa tradizione la si ritrova in tutta la Magna Grecia e così si intende come per ringraziare la Santa, ma anche per ricordare i cari  che non erano sopravvissuti alla carestia la Cuccìa sia diventato il dolce tipico di Santa Lucia. In Puglia, in Basilicata e in Molise, si prepara una freschissima Cuccìa con grano lesso, canditi, melograno, noci, mandorle, pistacchi e cioccolato: una vera delizia.
In Calabria invece la Cuccìa è un piatto particolarmente lavorato, va preparato nel ”Tijaniello” ed è a base di grano e carne di maiale.